lunedì 12 gennaio 2009

La Storia vista da noi....


Quando Rosario Villari, insigne storico e attuale professore emerito dell'Università di Roma "La Sapienza" nonchè socio nazionale dell'Accademia dei Lincei, scrisse nel 1969 il notissimo manuale per le scuole medie superiori "Storia Moderna", non pensava certamente all'uso che ne avrebbe fatto la Quinta Effe.

Direttamente dall'archivio storico di Paolo ecco alcune pagine ormai ingiallite di quel manuale che testimoniano la nostra passione per la storia e per i suoi insegnamenti.

Una curiosità: si scrive P.P.D. ma si legge...P.D. ?



Grazie Paolo e grazie anche al Professor Villari.

















sabato 3 gennaio 2009

I miei ricordi di una notte da incubo.....



Spero che Paolo e Bruno apprezzeranno queste poche righe...

le scrissi una 15na di anni fa... ma per pudore non ho mai avuto l'ardire di tirarle fuori dal cassetto dove erano rinchiuse.

Ora che ho 50 anni e non mi tira più , fanculo, chi se ne fotte....hahahaha..

A presto

Ernesto


Punta Ala


Ci avevano detto che il tempo, in generale, nella piana di Follonica era ottimo durante il mese di agosto. Ed in particolare, che non pioveva intorno a ferragosto ormai da 15 anni;
Cosi quando Bruno Paolo ed io decidemmo di incamminarci dalla pineta del nostro campeggio, per arrivare a Punta Ala,dove era in vacanza Cristina,la ragazza di Bruno, non ci preoccupammo di portare grandi attrezzature;
Solo i nostri stracci-indumenti, la canadese a due posti,ma che doveva contenerci tutti e tre, (all'epoca eravamo tutti molto più magri), ed uno zaino ciascuno, con il necessario per sopravvivere i quattro giorni che ci eravamo prefissi di trascorrere lontano dagli altri della compagnia.
Eravamo allegri, certi di poter superare senza affanni eccessivi, forti dei nostri 18 anni, i 40 km che ci separavano dalla roulotte dei genitori di Cristina,che ci aspettava più a sud.
Il sorriso e le battute spontanee e continue dei primi minuti, a poco a poco lasciarono il posto ad una più attenta e parsimoniosa gestione del respiro.
Camminando ai bordi della superstrada costiera, le auto veloci che ci passavano a fianco, sollevavano nuvole di odori di benzina disgustosi.
A poco a poco ognuno di noi prese a camminare in silenzio, come se quel percorso fosse un viaggio solitario rotto solo da quegli sguardi di complicità che ogni 100 mt ci scambiavamo, come per dirci" ce la facciamo".
Arrivati al bivio per la costa, li dove la strada piega verso l'interno, ormai i nostri sguardi erano persi nel vuoto, vinti dalla fatica del cammino; mancavano ancora 30 km ed erano già le 11 del mattino.
Il caldo stava facendo liquefare ogni nostra tenacia, ed ormai aveva vinto, appassendo ogni nostra allegria.
Vigliaccamente chiedemmo un passaggio ad un'autista compassionevole che proseguiva per Punta Ala.
In macchina, con i muscoli delle gambe finalmente rilassati, ritrovammo la voglia di parlarci e di glorificare la mancata impresa che ci eravamo prefissati.
Non ci fu bisogno di dichiararlo, ma il tacito accordo di non raccontare come in realtà fossimo riusciti ad arrivare alla meta, ci balenò contemporaneamente negli occhi, come una scintilla sottile, una piccola piega complice agli angoli degli occhi, il lembo delle labbra piegate leggermente verso il basso, ad accennare un sorriso beffardo.
Cosi gonfi di gloria non meritata, ci presentammo al cospetto di Cristina e dei suoi genitori piacevolmente sorpresi di vederci ancora in ottima forma nonostante la fatica. Nel campeggio non c'era più posto, così dovemmo arrangiarci a montare la tenda nella pineta attigua, esattamente ai margini di un piccolo spazio spoglio, quasi una radura.
La nostra tenda era veramente minuscola, con solo due paletti alti poco più di 50 cm a far da struttura portante.
La tensione del tessuto e la resistenza delle cuciture dovevano garantire la tenuta al tiro delle cordicelle sui paletti di ancoraggio.
Ma questo lottare tra destra e sinistra della stoffa di cotone, aveva ormai prodotto i suoi effetti.
Sdraiati col naso all'insù dentro quella che da lontano sembrava una enorme cioccolata triangolare della Pernigotti, ognuno dal proprio osservatorio personale, ognuno col proprio buco, ognuno dalla propria camera con vista, potevamo tranquillamente seguire per lunghi tratti il volo dei gabbiani alti sull'acqua.

Ma che importava? Tanto a Follonica non piove mai!!

Alle tre di notte, Bruno che ha sempre avuto un sonno leggero, ci svegliò: borbottii e rimbombi lontani, strani chiarori e luci diffuse si stavano intensificando.
Lui già da un pezzo,insonne, li ascoltava.
La banda musicale che lentamente a passo di marcia ti avvisa del suo arrivo, prima sommessamente, con sprazzi di note inframmezzate dal silenzio del vento che porta via la melodia, poi sempre più forti, rimarcate dalle battute della grancassa che costringeil tuo stomaco a digerire quanto del cibo ancora integro, cosi il temporale in arrivo annunciava la propria venuta.

Non ci fu prologo ne overture. Non appena azzardammo il naso fuori dalla cerniera lampo del nostro rifugio, un flash immenso si abbattè a pochi metri da noi, accompagnato dal più colossale boato che io ricordi di aver udito e seguito a pochi millesimi di distanza da tre urla all'unisono e tre imprecazioni e relative bestemmie in varie tonalità.
Immediatamente dopo, ma parlo di istanti,ci trovammo letteralmente sommersi, completamente fradici sotto una spanna d'acqua.
I fori nella tela che ci faceva da tetto, e che nella ubriacatura dell'inizio del sonno ci avevano permesso di socchiudere gli occhi col ricordo di un bel color turchese, quei fori ora erano diventati sadici imbuti che convogliavano litri di pioggia proprio dentro i nostri miseri averi.
Con affanno, quasi con angoscia, urlandoci ordini contraddittori l'un l'altro, a squarciagola per coprire il frastuono raccogliemmo quanto più ci riuscì di afferrare nel buio assoluto;
Cioè nulla tranne quello che avevamo addosso: il nostro sacco a pelo.
Come fantasmi svolazzanti nella notte, come vampiri coperti dal loro mantello, incominciammo a correre nel buio cercando di raggiungere nel più breve tempo possibile la roulotte di Cristina.
Eravamo sotto un bombardamento. I lampi dei fulmini ci cadevano a pochi metri, o per lo meno così ci sembrava.
Il colpo di maglio dei tuoni che li seguivano ci facevano sobbalzare ancor di più.
I primi non potevamo prevederli, i secondi erano da loro annunciati ma nonostante questa tensione, i nostri timpani e le nostre viscere non riuscivano a prepararsi adeguatamente.
Eravamo terrorizzati.
Il nostro panico raggiunse vertici inimmaginabili quando ci rendemmo conto che l'unico modo per raggiungere la roulotte di Cristina, a quell'ora di notte, con tutti i cancelli chiusi era attraverso al spiaggia.
E sulla spiaggia, illuminate a giorno dalle luci psichedeliche dei lampi, stavano immobili ed inerti una trentina di barche a vela, coi loro alberi fieri di metallo luccicante, ma cosi simili a tanti parafulmini che scaricavano direttamente nella sabbia.
E tra quella sabbia dovevamo passare noi, praticamente a piedi scalzi.
Non avevamo scelta. Continuammo a correre tra le dune;
Nel modo più goffo e inutile che si possa immaginare,ad ogni lampo che arrivava, qualcuno di noi urlava "..Giuuuuu..." e tutti e tre ci lanciavamo in un tuffo plastico, allungato forse dalla portanza del mantello, atterrando sulla pancia con le braccia aperte a croce, contemporaneamente al botto del tuono, quasi fossimo stati noi a provocarlo.
Che importa se l'ipotetico fulmine,(che ci poteva colpire), se ci avesse colpito, lo avrebbe fatto comunque prima, prima che l'intenzione e il comando di lanciarsi in volo fosse partito dalle sinapsi del nostro cervello, prima che quell'ordine istintivo avesse avuto modo di compiersi;
Nonostante l'inutilità del gesto, continuammo a cadere ed a rialzarci, a scendere ed a risalire rispetto alla sabbia come il collo delle oche curiose che starnazzano sull'aia.
C'era acqua dappertutto: sopra di noi il diluvio, quasi un muro liquido, frazionato in gocce dure che colpendoci facevano quasi male; a destra il mare, stranamente calmissimo, quasi immobile, ma butterato da infiniti crateri che l'energia della pioggia provocava sulla suasuperficie di vetro: sembrava una enorme e grottesca grattugia per formaggio piatta.
Sotto di noi il fango, quello strano miscuglio di polvere di sabbia e pioggia, che non faceva in tempo a filtrare e percolare via, accumulandosi nei piccoli e frequenti
avvallamenti e buche della superficie dell'arenile, per contrasto compatta e resa poco cedevole da tutta quella umidità.
Su di noi, completamente zuppi, ancora acqua. Acqua dentro i nostri capelli, impregnata nei nostri vestiti che ora, anche se estivi, pesavano tantissimo.
Dentro di noi acqua: annacquava la nostra volontà, sommergeva, facendola affogare, la nostra capacità di agire.
Tutto intorno a noi lampi, flash, spicchi di luce in continuazione; tenevano a braccettoboati immensi, un terremoto di suoni cupi, una mitragliata di tuoni:una folla di sensazioni visive ed uditive;
Ma eravamo soli.
Ebbi paura; ma veramente paura di non arrivare alla fine di quei 200 mt di spiaggia.
Credo che la stessa paura la provassero i miei compagni di avventura;
In quegli attimi ciascuno di noi divenne consapevole di essere solo, di essere unico, di pensare alla propria essenza con sano egoismo.
Nello stesso tempo, quale contrappunto, stavamo provando, insieme, la sensazione di essere uniti da ciò che stavamo vivendo.
In quegli attimi eravamo una sola cosa, quasi una blasfema trasposizione divina.
Nei brevissimi istanti di luce accecante dei lampi, i nostri occhi si cercavano.
Quante volte, pur nell'angoscia di quei momenti e di quella corsa, ciascuno di noi attese preoccupato, porgendo la mano, tendendo aiuto, il ritardo degli altri, e che dopo pochi passi, diventava il proprio!.
Quante volte, volgendo lo sguardo indietro, domandavamo con la piega degli occhi " come va?".
E nei brevissimi istanti di quella luce, i nostri occhi si trovavano.
Forse allora capimmo..
Perchè da quella notte tra noi ed in noi qualcosa cambiò.

Se è vero che le persone sono isole di arcipelago separate l'un l'altro da bracci di mare;
Se è vero che l'unico modo di "sbarcare" su un altro atollo è quello di condividere emozioni;
Se è vero che è proprio il ricordo di quelle emozioni, l'unica cosa che ci fa ricordare la rotta, l'unica cosa che ci fa venir voglia di " navigare".
Allora quella notte noi gettammo un ponte tra le nostre esistenze solitarie;
Allora quella notte fummo consapevoli di aver marcato con una crocetta sulla carta nautica dei nostri affetti, l'esatta posizione di quelle due isole cosi vicine, ma nella nebbia della vita, così invisibili.

Allora, da quella notte, capii di non essere più solo.